Qualche peccato veniale, come la coppa anteriore, lo scudetto mancante, o il paraurti un po' scolorito, ma anche questa è una perla. Prodotta in pochi esemplari insieme alla berlina, se non ricordo male in quest'unico colore, oggi è una vera rarità. Auspicabile che il proprietario o i suoi successori abbiano la lungimiranza di farla sopravvivere.
Veniva prodotta, al pari della berlina, negli stabilimenti Pininfarina. Una macchina un po' snob e ricercata, se vogliamo un po' "Milano da bere", che diede parecchie soddisfazioni all'epoca ai possessori sulle strade innevate di montagna, ed esempio della vitalità che l'Alfa dimostrava seppur nelle ristrettezze economiche e incertezze gestionali dell'epoca.
L'ultimo capoverso di Total è ben azzeccato. Negli ultimi anni IRI l'Alfa Romeo riuscì a mantenere una gamma articolata e pienamente all'altezza della propria fama. La 33 rivestiva i brillanti "boxer" con forme moderne e piacevoli, e faceva un salto nella dotazione di serie; gli ultimi restyling Alfetta e Giulietta eccedevano nella plastica, secondo la moda del tempo, ma gli interni erano ben rifiniti, fatta la tara della discutibile "imperiale"; la 90 cominciò bene, ma declinò rapidamente, e fu un peccato, perché la linea era molto elegante; per tutte, la meccanica era sempre di prim'ordine. Nel 1985 l'ultimo capolavoro, la 75, che, pur ereditando, proprio per le citate ristrettezze, molte componenti Giulietta, creò un proprio stile, e, grazie anche alle evoluzioni motoristiche, fu un grande successo commerciale, confermato dal gradimento oggi già diffuso presso i collezionisti. Un periodo che oggi possiamo rimpiangere.
Concordo. A detta degli stessi addetti ai lavori la vendita dell'Alfa, piena di contorni ambigui come solo in Italia si riesce a fare, arrivava in un momento di estrema vitalità progettuale, in cui i tecnici di Arese pur avendo da tempo perso la "leadership tecnologica" e prestazionale, erano riusciti comunque a fare le proverbiali "nozze coi fichi secchi", nonostante la fallimentare operazione Arna, e la ancor più disgraziata reentrèe in Formula Uno, grazie al lancio della 33 e della 75, quest'ultima poco più che un restyling della Giulietta, ma entrambi dei successi.
E stava comunque per arrivare la magnifica 164, la cui gestazione fu più lunga del previsto (la 90 venne in effetti concepita come "paracadute" ) per le difficoltà incontrate nell'adattare la piattaforma Fiat-Saab alle filanti e innovative linee di Pininfarina.
Insomma, sarebbe bastato aspettare un po' di tempo e l'Alfa probabilmente ce l'avrebbe fatta da sola. I clienti fedeli e i fans sparsi ad ogni angolo del globo di certo non mancavano.
Invece lo Stato aveva una assoluta fretta di liberarsene al più presto, e la Fiat di liberarsi di un concorrente annettendo un marchio prestigiosissimo al suo portfolio.
Il resto è storia di oggi.
scusate la digressione, so che è un argomento affrontato fino allo sfinimento.
I dolori sono iniziati dal'72, von la scellerata operaizone Alfasud (scellerato tutto quello che c'era attorno, non la macchina, che era un piccolo capolavoro, tolti i suoi noti guai), tra scioperi, e sperperi immani di denaro per alla fine, tutto sommato, ricavarne poco più di nulla...
L'argomento è di estremo interesse, perché riguarda la storia di un pezzo di eccellenza della nostra industria, ancorché ampiamente dibattuto. Total aveva giustamente ricordato il connubio di vitalità, ristrettezze e incertezze ai tempi della prima "33", e i buoni progetti imminenti, ma dubito che l'Alfa avrebbe potuto farcela da sola; la storia successiva ha dimostrato che, per sopravvivere e sostenere i sempre più elevati investimenti necessari per realizzare un nuovo modello/motore, occorrono volumi, e margini economici, molto più elevati di quanto l'Alfa potesse assicurare. BMW continua a viaggiare da sola, ma costruisce più di un milione di vetture l'anno con elevati margini unitari, quando l'Alfa non ha mai superato 250mila unità, e Saab ha fatto una brutta fine con prodotti eccellenti ma numeri contenuti nell'ordine di 200mila auto. In ogni caso la politica di privatizzazioni che negli anni '90 ha portato lo Stato a cedere buona parte del patrimonio bancario e industriale pubblico avrebbe certamente riguardato, prima o poi, anche l'Alfa Romeo.