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Alfa Romeo Alfetta 1.8

alfettaiom20131227.jpg
Anno n.c., targhe nere del 1978 rifatte in formato quadrato (IOM).

Data: 28/12/2013
Commenti: 15
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Commenti
#1 | bob91180 il 28/12/2013 11:41:47
Magnifico esemplare prima serie scudo stretto , blu olandese ... merita quattro millerighe ...
#2 | blackboxes66 il 28/12/2013 12:54:06
Essenzialmente la 1.8 "scudo largo" si riconosce dai rostri dei paraurti in gomma, poi le racchette dei tergi non più cromate, i sedili di forma differente con poggiatesta arrotondato, alcuni particolari del mobiletto centrale, il volante non più in legno, eccetera. Dal 9/79 sono cambiate le porte, senza deflettore anteriore, con maniglie incassate e con specchio nero in plastica, come sulla 2.0. Il paraurti posteriore corto e senza rostri è prerogativa della 1.6 con due fari.
#3 | bob91180 il 28/12/2013 12:55:03
Non ha la scritta della cilindrata in quanto la prima serie era solo 1,8 , poi i rostri metallici , che in seguito sono diventati completamente in gomma
#4 | blackboxes66 il 28/12/2013 12:59:56
Ci siamo incrociati! Grin
#5 | Markino il 28/12/2013 13:34:04
Superba metafora dell'Alfa Romeo al top della sua storia industriale. Da qui in avanti sarebbe iniziato un rapido deterioramento della cornice, diciamo così, politico-sindacale, a cominciare dall'uscita - per contrasti con i vertici IRI - del manager che aveva fatto risorgere l'azienda, Giuseppe Luraghi, e relativa pulizia etnica dei dirigenti a lui legati.
#6 | Transaxle73 il 28/12/2013 14:06:26
La scudo stretto è stata prodotta dal 1972 al 1975, e un altro segno distintivo è la placchetta con il logo "Centro Stile Alfa Romeo" applicato in basso a destra tra il passaruota e lo sportello anteriore. Altra importante differenza è rappresentata dal fondo della strumentazione di colore nero con relativi numeri bianchi mentre la serie successiva a scudo largo adotta il fondo blu chiaro. A livello meccanico la prima serie monta l'ultima versione del bialbero da 1.779 da 122 cv non strozzato da normative antinquinamento e sui consumi. La serie successiva del 1976 scende a 118 cv per poi risalire a 122cv nel 1979. Però a detta di molti la prima serie è la versione più aggressiva e cattiva nell'erogazione, e da fiero possessore non posso che confermarlo. E' praticamente impossibile resistere all'Alfetta tentatrice...
#7 | IL BUE il 28/12/2013 22:18:49
Transaxle73 il 28/12/2013 14:06:26
Altra importante differenza è rappresentata dal fondo della strumentazione di colore nero con relativi numeri bianchi mentre la serie successiva a scudo largo adotta il fondo blu chiaro

Aggiungo anche che il carattere dei numeri è diverso: più piccoli nella prima serie, più grandi nelle successive!
Targa stra fintissima. U è rigorosamente lunga!
#8 | Total III il 29/12/2013 06:18:45
Fa specie pensare che l'Alfetta fu causa indiretta dell'allontanamento di Luraghi.
A quanto raccontò lui stesso in una intervista non troppo nota, nonostante lo sforzo economico supportato per l'affaire Alfasud (che, è bene ricordare, fu talmente elevato che si finì per fabbricarla in perdita!) la politica non era ancora sazia, e così si sentì proporre di fabbricare l'Alfetta anche ad Avellino, ovviamente dopo aver costruito una fabbrica ad hoc. Questo a beneficio del bacino elettorale di un potente onorevole (mi pare De Mita, ma non ne sono sicuro).
Luraghi ovviamente si oppose: non aveva alcun senso buttare danaro per produrre un modello in due stabilimenti diversi, quando Arese supportava senza problemi la richiesta del mercato.
Fu così che il manager che aveva portato l'Alfa ai vertici tecnologici, stilistici e sportivi, venne letteralmente cacciato.
Avellino nel tempo avrebbe veramente ricevuto la sua fabbrica, la famigerata Alfa Romeo Nissan Autoveicoli (e sappiamo come andò a finire).
E' incredibile il modo in cui l'Alfa venne deliberatamente affossata dall'ottusità dei nostri governanti. Nonostante questo, riuscì a sopravvivere fino alla metà degli anni ottanta senza che l'immagine del marchio venisse scalfita più di tanto.
A quello pensò Romiti...
#9 | Markino il 29/12/2013 11:40:29
Quanto ha ben ricordato Total ricalca in buona sostanza la parabola dell’intervento pubblico nell’economia nell'Italia degli anni ’70.
Per quanto, nel dopoguerra, i vertici IRI ed ENI (sull’EFIM, sorto nel 1961, è meglio stendere un velo pietoso, avendo raccolto sotto il proprio ombrello aziende manifatturiere che, per la gran parte, non hanno mai generato una lira di utile) fossero saldamente espressione dei partiti di governo, e segnatamente della DC, fino ai tardi anni ’60 la politica non aveva l’abitudine di interferire pesantemente nelle scelte manageriali, anzi, più probabilmente, ne era a sua volta “condizionata”. In aggiunta a quanto si può apprendere dalla letteratura economica, una famosa scena de “Il caso Mattei” di Francesco Rosi, in cui l’artefice dell’ENI (magistralmente impersonato da Gian Maria Volonté) strapazza al telefono come uno scolaretto il ministro delle Partecipazioni Statali (siamo intorno al 1961) rappresenta con grande efficacia questo fenomeno; è altresì noto che le direttive di politica industriale formulate dal ministero erano in realtà stilate, almeno in parte, dagli stessi Enti di gestione, e poi ratificate in sede governativa. Non che non esistessero, beninteso, tentativi e prassi di condizionamento tra la politica e le aziende di Stato, in un paese che aveva eretto il clientelismo a norma di funzionamento, ma tutto questo era bilanciato da un principio non scritto di autonomia del management, molto spesso incarnato da uomini di elevato spessore e di forte personalità. Ancora verso la metà degli anni ’60, il nostro sistema di partecipazioni statali era un modello apprezzato e studiato in tutta Europa, persino nei paesi scandinavi dell’efficienza leggendaria. Condotte con lungimiranza e progettualità, le imprese pubbliche ebbero quindi un ruolo fondamentale e positivo nel rilancio economico del paese (basti pensare alla siderurgia a ciclo integrato voluta da Oscar Sinigallia in luogo della produzione da rottame), e l’Alfa Romeo fu certamente uno degli emblemi di maggior successo del “sistema IRI”, con una proiezione di immagine a livello internazionale ben superiore ai suoi reali volumi produttivi.
Le cose iniziarono a cambiare già nel corso degli anni ’60 con l’accresciuta voracità dell’apparato dei partiti, che di lì a breve individuarono nelle Partecipazioni Statali un mezzo di cui servirsi in molteplici forme ai fini di una competizione politica sempre più patologica e distorta, finché al principio degli anni ’90 l’intero sistema collassò sotto il peso oramai insostenibile dei debiti e della corruzione. Uno degli episodi più noti e importanti di questo mutamento furono le trame – efficacemente riprese nel famoso libro di Scalfari e Turani “Razza padrona” (1974) – di Eugenio Cefis, che dal vertice dell’ENI, e utilizzandone i fondi, iniziò a rastrellare azioni Montedison, divenendone infine Presidente nel 1971.
Per tornare quindi all’Alfa Romeo e al collegio elettorale dell’on. De Mita, l’episodio, citato in più fonti, si inscrive perfettamente in un clima già degenerato in cui le scelte economiche ed industriali delle imprese pubbliche non erano più giustificate dalla propria intrinseca validità, bensì da una funzionalità alla “categoria del politico” che ne sottintendeva amaramente l’eterogenesi. Per quanto, saldamente presidiata da un uomo del calibro di Rudolf Hruska, la costruzione dello stabilimento Alfasud fosse avvenuta rispettando i tempi e generando avanzi sul budget (fatto che nell’Italia della lievitazione dei costi delle opere aveva del prodigioso), la vita successiva dello stabilimento fu un disastro all’insegna di assunzioni clientelari, organici gonfiati, maestranze impreparate che praticavano l’assenteismo per continuare a dedicarsi al lavoro nei campi, conflittualità sindacale alle stelle, ombre della criminalità negli appalti e fin dentro la fabbrica. Non doveva essere quindi difficile per Luraghi immaginare cosa sarebbe diventato il secondo stabilimento campano (superfluo e antieconomico) al quale il manager, che pure aveva voluto l’Alfasud, si oppose fermamente, creando così le condizioni per il suo rapido allontanamento.
Inutile osservare che, utilizzando le imprese di Stato come un’enorme mucca da mungere indiscriminatamente, in venti anni la politica (o meglio, una certa politica, termine greco che meriterebbe di essere incarnato in modo ben più nobile) ha mandato all’aria una parte fondamentale del sistema economico-produttivo del paese.
#10 | Transaxle73 il 29/12/2013 14:34:01
Ricostruzione storica magistrale di Markino. Nello specifico trovo assurdo che il management di una Casa da 200.000 pezzi/anno quale era l'Alfa dei giorni migliori (il 2013 lo chiuderà se va bene a 70.000!) abbia dovuto subire l'imposizione per fini elettorali di ben 2 stabilimenti, quello di Pomigliano D'Arco prima e quello di Pratola Serra dopo. Non contento dello scempio perpetrato in Alfa, il vorace De Mita si fece costruire a Nusco (AV) anche un altro stabilimento per assemblare la fantasmagorica "fuoristrada italiana", ovvero la IATO. Come direbbe il ragionier Fantozzi...una c....a pazzesca. A proposito, manca la IATO nell'album di TN Smile
#11 | blackboxes66 il 29/12/2013 18:38:07
Ma ne avranno mai venduta una di IATO? Mi chiedo che ne sarà stato di quello stabilimento, e chi aveva fornito i capitali (posso immaginarlo Angry )
#12 | audiclassic il 29/12/2013 19:57:28
Qualche IATO la incontrai in giro ai tempi, soprattutto in zone prealpine fra Lombardia e Piemonte. Da lontano la scambiavi per un Pajero passo corto (scopiazzata alla grande) ma era comunque molto più sgraziata. Ma l'esemplare più particolare è sena dubbio quello con motore 2.0 CHT che vidi nel salone di un amico verso la fine del 2003: era *nuova da immatricolare* e ovviamente doveva aspettare almeno il compimento dei 20 anni per poterla targare almeno come storica, in quanto non era più in regola con le omologazioni.
#13 | Nelson Wilbury il 31/12/2013 18:35:42
Markino, è un piacere leggerti! Grazie!

A livello di aneddotica, ci aggiungo che oggi fa riflettere vedere un fascicolo di Quattroruote mi pare di Aprile 1972 in cui alle prime pagine di autonotizie c'è una gran presentazione intitolata "Alfasud: le prime consegne a Luglio", e contemporaneamente nella rubrica Corriere degli Automobilisti c'è un articoletto sugli scioperi di Pomigliano con tanto di foto che ritae i manichini impiccati e i cartelli della FIOM.

Lungi da me qualunque assimilazione alla situazione attuale, si parla ormai di quarant'anni fa, c'è stata la "marcia dei quarantamila" nell'80 e molto è cambiato, ma non si può fare a meno di notare che se uno stabilimento è già in agitazione prima dell'uscita sul mercato del suo primo prodotto qualcosa che non va ci deve essere per forza.

Per gli amanti di queste letture consiglio dell'ottimo Turani, già citato da Markino, anche L'AVVOCATO in edizione 2002: vita morte e miracoli della Fiat - non solo di Agnelli come potrebbe lasciar supporre il titolo - dalla fine di Valletta a quella di Agnelli.

P.S.: Bella questa Alfetta: un amico ne ha avuta una uguale faggio col numero di telaio più basso di quella provata da Quattroruote; aveva i Dell'Orto; è andata venduta per problemi economici, ma è stata restaurata bene e fa una bella vita, quindi alla fin fine a lei non è andata male!
#14 | Markino il 31/12/2013 22:02:19
Ringrazio tutti coloro che, in pubblico o in privato, hanno manifestato apprezzamento per le mie dissertazioni su temi di storia economica, industriale o sociale. Dissertazioni che per me rappresentano null'altro che un piacere frutto di passione e di curiosità intellettuale.
Spero di poter continuare ad individuare spunti interessanti di carattere generale, pertinenti agli argomenti trattati, per condividere le conoscenze maturate in numerose letture di approfondimento, e contribuire, nel mio piccolo, alla diffusione tra gli utenti del sito di una cultura motoristica quanto più possibile ampia ed esaustiva.
Per tutti l'auspicio di un generoso 2014 Smile
#15 | massimo il 01/01/2014 14:53:03
Concordo, ringrazio e sottoscrivo, aggiungendo che un po' di cultura non ha mai fatto male a nessuno, quindi ben venga ogni esternazione, specialmente di questo livello.
Un buon 2014 a tutti anche da parte mia. Wink
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